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Toni Soggiu, “S’Acabadora. Č ora di finirla?”, Condaghes, Cagliari, 2010, di Umberto Perinu
Di Redazione (del 28/02/2011 @ 15:47:02, in Recensioni, linkato 2114 volte)

S’Acabadora. Č ora di finirla? di Toni Soggiu, (postfazione di Antoni Arca, Condaghes, Cagliari, 2010, pp. 105, Collana “Contos e Amentos”), fin dalla sua uscita non ha mancato di suscitare molte polemiche, sulla scia del romanzo di Michela Murgia, dal titolo omonimo, ma stavolta con due c e senza l’articolo, vincitrice un po’ a sorpresa, del premio Campiello 2010, edito da Einaudi nel 2009 per la collana “Supercoralli” ma soprattutto per il lavoro di Dolores Turchi, dal titolo: Ho visto agire s’accabadora, la prima testimonianza oculare di una persona vivente sull’operato de s’accabadora, Iris, Oliena, 2008.

Il Soggiu confuta punto per punto tutta una serie di credenze e luoghi comuni e, tra le righe, chi in buona fede o cavalcando la leggenda vuol dimostrare che questa, diciamo così, particolare figura professionale fosse realmente esistita. Il termine, di derivazione catalana, sarebbe stato introdotto nel tardo Medioevo e quindi già in contraddizione con chi fa risalire tale macabro “rituale” alla notte dei tempi.

Secondo l’autore, la leggenda de s’acabadora si radicò nell’immaginario collettivo probabilmente per effetto di alcuni romanzi pubblicati nell’Ottocento da Carlo Varese, addirittura alcuni tradotti in inglese e pubblicati a Londra, dai viaggiatori inglesi in Sardegna, nonché da alcune “forzature ideologiche” di Joyce Lussu e Francesco Masala.

Ma le tante obiezioni dell’autore quelle più forti e convincenti, sicuramente, riguardano l’assenza totale di cronache o documenti dell’epoca che trattino di denunce, liti, processi, relativi a eredità contese tra i parenti del defunto.

Il Soggiu insinua anche una latente visione lombrosiana del fenomeno da parte di chi avrebbe interesse a criminalizzare un intero popolo in un’ottica di stampo colonialista.

Personalmente ritengo che i Sardi, per tradizione, abbiano sempre avuto nei confronti degli anziani un rispetto e una considerazione per la loro saggezza ed esperienza. Mi chiedo anche: se si trattava di una sorta di eutanasia perché praticarla solo nei confronti degli anziani e non a tutti coloro che si trovavano in condizioni di salute irreversibili? Ma chi poi può fare tale valutazione? Diciamo che l’eutanasia e l’infanticidio, altro argomento correlato e trattato nella pubblicazione, sono stati praticati, nel bene e nel male, da tutti i popoli indistintamente e non in maniera quasi sistematica e tribale come si vorrebbe far credere.

In conclusione, l’autore sostiene che s’acabadora non sarebbe altro che la Madonna richiamata nelle preghiera dell’Ave Maria, la fine della vita, s’acabu de s’ora in lingua sarda. “Sa femmina accabadora”, la donna chiamata per predisporre le fasi antecedenti la sepoltura.

La postfazione di Antoni Arca, perfettamente in linea con l’analisi dell’autore, risulta anch’essa rigorosa e allo stesso tempo, a tratti ironica, talvolta quasi esilarante contribuendo a renderne piacevole la lettura.