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Intervista ad Aldo Tanchis

Interviste | Sap, 3 Maju 2008

Una luce passeggera è il titolo del suo ultimo romanzo. La vicenda, divisa tra l´ambientazione in un piccolo centro della Sardegna e lo sfondo dell´Etiopia di età coloniale, contiene alcuni spunti autobiografici. Quali ricordi della sua vita hanno ispirato la narrazione?

Le vicende esterne sono quelle che coinvolsero i miei genitori ma un romanziere serio inventa sempre la verità, e più essa è inventata più è vera. Lo fa attraverso i dettagli e con la costruzione di una struttura che tiene in piedi l´edificio della narrazione. I protagonisti, dunque, portano il nome dei miei genitori ma sono figli miei. Naturalmente il fascino di storie avventurose e drammatiche come quelle ascoltate da bambini, nei dopocena senza tv, ha alimentato la mia fantasia e ha fatto nascere domande. Il loro carattere eccezionale, rispetto alla pacifica vita che abbiamo trascorso per decenni in occidente, mi ha spinto a scriverne.


Guy de Maupassant sosteneva che la parola sia ingannevole se mimata dalle espressioni del volto, ma che le parole nere sulla pagina bianca mettano l´anima a nudo. Cosa pensa delle riduzioni cinematografiche della letteratura, e in particolare di quella del suo romanzo Pesi Leggeri? Secondo lei, tutti i romanzi sono ugualmente adatti alla trasposizione in immagini?

Pesi Leggeri è stato scritto prima come sceneggiatura e solo successivamente è diventato un romanzo. Tra l´altro questo mi ha dato modo di raffinare la vicenda ed i personaggi. Alcuni di loro sono spariti nel passaggio dal libro al film, altri hanno preso un diverso spessore. Un film è un´operazione corale, dove molto è affidato alla sceneggiatura, a un buon casting, alla musica ecc. Bravo è il regista che ottiene il meglio da tutto per realizzare ciò che vuole. Lo scrittore è un regista particolare, che non solo ha la responsabilità di tutto ma deve provvedere a suonare la musica delle frasi, a dare un´espressione particolare a un carattere, a creare la giusta illuminazione per una scena... E´ tutto merito (o colpa) sua, insomma.
Tutto si può trasporre in immagini e suoni (non dimentichiamo che il cinema non è muto). Chi legge Non è un paese per vecchi di Cormac McCarthy non ha grandi difficoltà a vederlo come film, mentre Ada di Nabokov necessiterebbe di un gran lavoro di sceneggiatura. Un romanzo o un racconto possono essere come creta nelle mani di sceneggiatori e registi, però il vaso che realizzeranno sarà sempre un´altra cosa rispetto alla pagina scritta. Per esempio, da un magnifico racconto di Silvio D´Arzo, Casa d´altri, ho tratto un soggetto per un film che avrebbe dovuto trattare di accabbadore...


Lei è sceneggiatore, copywriter, scrittore, perfino autore di una rubrica di geografia fantastica su un noto mensile di cultura. Si ritiene soddisfatto di ciò che finora ha fatto o desidera cimentarsi in qualche altro ruolo?

A dir la verità ho fatto anche altro... Qualche mostra come artista concettuale (ogni tanto produco ancor qualcosa), programmi alla radio, canzoni... Credo di essere un dilettante, nel senso originale del termine: faccio qualcosa per piacere e per dovere verso me stesso, non per professione. Non sono costretto a scrivere un romanzo ogni anno ma posso lasciarlo maturare. La lentezza ha i suoi pregi: solo dopo metà percorso vedo davvero cosa sto facendo, ci trovo un senso intimo. Si scoprono sempre nuovi aspetti in un progetto, anche quando questo si è apparentemente concluso. E scrivere la parola fine significa in realtà far nascere un romanzo. La soddisfazione c´è quando una frase ti gira bene, quando crei una bella immagine – si prova in corso d´opera, insomma. Paradossalmente, credo che sarò totalmente soddisfatto quando sarò morto. Prima, ci sarà sempre qualcosa da provare, cercare, trovare - spero.


Nei suoi romanzi la Sardegna fa sempre da sfondo alle vicende narrate: in Pesi Leggeri lo scenario è incarnato da Cagliari, nel racconto lungo Una luce passeggera compare l´entroterra sardo, e anche L´anno senza estate si staglia sulle spiagge della sua regione d´origine. Non si sente ispirato da una ambientazione diversa, ad esempio dal clima metropolitano e frenetico di Milano, sua città d´adozione?

Il mio prossimo lavoro sarà ambientato a Milano che, per chi ci vive, è meno frenetica di quel che appare agli altri. Puoi comodamente scrivere mentre fuori cade una pioggerellina sonnolenta e la voce bassa di Cassandra Wilson ti sussurra pigramente nelle orecchie, come accade ora.


Siamo di fronte ad una vera e propria esplosione dell´editoria sarda: le case editrici aumentano di numero, gli autori locali ricevono la consacrazione del pubblico e della critica, portando a casa riconoscimenti di tutto rispetto. Come si spiega questo successo? C´è forse una sorta di marcia in più nella letteratura sarda?

Innanzi tutto bisognerebbe capire se esiste una letteratura sarda. Diciamo che c´è un gruppo di scrittori e di editori più numeroso che in precedenza, e che sotto l´etichetta di letteratura sarda si sta mettendo in mostra. Un´etichetta serve per farsi riconoscere – il che non è né giusto né sbagliato, può semplicemente essere utile. Personalmente non sento di creare letteratura sarda ma letteratura, semplicemente. La Sardegna è un luogo fra i più esotici che ci siano in Europa, e l´Europa, oltre che l´Italia, forse ci vede come una miniera inesplorata. Ma non sempre il nuovo è buono. Passata la sorpresa, l´entusiasmo dei turisti letterari, cosa resterà? Il punto vero, per me, non è tanto cercare un comune denominatore fra noi scrittori sardi, ma capire se scriviamo buona letteratura. Siamo noi stessi i primi a gettare uno sguardo esotico su noi stessi, un modo comodo per metterci in evidenza senza fare un vero sforzo per scrivere bene. E questa è la letteratura tipica, che invade le edicole dei nostri aeroporti. Alcune di noi cercano di dare un´impronta originale al loro lavoro, aldilà della tipicità regionale. M, liberarsi dall´ambiguo vantaggio di essere sardi tipici non basta. Occorre essere capaci, scrivere con molta più attenzione, sia che scriviamo della bidda o di New York. In sostanza: no, non abbiamo una marcia in più. Abbiamo qualcosa di diverso: paesaggi geografici, emozionali ed umani particolari; una sintassi che può creare a volte interessanti effetti.


Concludiamo la nostra intervista con una domanda di rito. Ci indichi almeno tre titoli di letteratura sarda che vale la pena di leggere.

La vera letteratura sarda è scritta in sardo e non la conosco. Posso suggerire i miei autori sardi preferiti (fra ciò che ho letto): Grazia Deledda (Il Paese del Vento, Cosima, i racconti); Cambosu (Miele Amaro); Satta (Il Giorno del Giudizio, Maria Giacobbe, Il Mare). Non c´è niente di pubblicato recentemente... Mancanza che riempio con Antonella Anedda, notevole poetessa.

(Intervista a cura di Serena Cirina)

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